Nel 1656 una nuova epidemia, proveniente verosimilmente dalla Sardegna, colpì il Regno di Napoli. Nella sola capitale, che all’epoca contava 450 mila abitanti, provocò 240 mila vittime, mentre nelle restanti province si registrò un tasso di mortalità oscillante fra il 50 ed il 60% della popolazione. Lo storico della Terra d’Otranto Pietro Palumbo (Francavilla Fontana, 1839-1915), in Storia di Lecce, Congedo Editore, Galatina, 1996, ci racconta che “Fu tanto il numero dei colpiti che le vie della città erano cosparse di cadaveri cosparsi di bubboni, che rimanevano per molti giorni ammucchiati e insepolti. Il lezzo e i miasmi si diffondevano. Gli scampati popolavano le chiese, scapigliati, piangenti, imploranti misericordia. Per le strade e per le piazze lunghe processioni di gente sbigottita, di donne urlanti, di vecchi cadenti, di fanciulli atterriti.”
Si racconta che Lecce, capoluogo della Provincia di Terra d’Otranto, fu risparmiata grazie all’intercessione di Sant’Oronzo che, con l’occasione, diventò il Santo Protettore, spodestando così Sant’Irene. Continua Pietro Palumbo: “La città vide da lontano codesto nembo che si addensava terribile e minaccioso e fu in palpiti non la dovesse colpire. Si adottarono seri provvedimenti e tra le paure e le strette spalancò le chiese, e furono empite le case di voti e di preghiere. Un prete Schinia, scappato da Calabria, rinfocolò gli animi suggerendo si ricorresse alla protezione di Sant’Oronzo, conosciuto sin dai lontani paesi per primo vescovo di Lecce e dimenticato per parecchi secoli. Fece intendere che i corpi di Sant’Oronzo, Giusto, Fortunato e di Santa Petronilla stavano sepolti sotto la nostra Cattedrale.[…] L’entusiasmo diventò follia […] Un’onda di fanatismo invase la città tutta intera. Accadde quasi guiderone di tanta fede, che nella nostra provincia non arrivò il morbo” […]
Tonino Filomena