mercoledì 04 Dicembre, 2024 - 2:33:54

La grotta di Scerza e la leggenda della “Campana d’oro”

Scerza: zona grotta “Campana d’Oro”

Scerza e la grotta

Il vocabolo scerza (o anche scersa), nel dialetto salentino sta per “luogo incolto”. In contrada Scerza (agro di Sava), all’interno di una zona ancor oggi caratterizzata in parte da un boschetto di macchia mediterranea, si trova una grotta ipogea, da tempo ostruita.

Ciò che resta della zona boschiva (una piccola “macchia” ancora oggi meta di cacciatori e raccoglitori di funghi) è separato, attraverso una vecchia carreggiata (che porta alla chiesetta e alla masseria di Scerza) da un lembo adibito alla coltivazione e utilizzato in diverse fasi storiche a scopo insediativo.

L’indagine dal punto di vista storico-archeologico in zona Scerza è praticamente nulla, ma si notano alcuni elementi insediativi e residui di cocciame che potrebbero risalire al periodo basso-medievale, oltre a residui di costruzioni più recenti. Suggestiva è inoltre la presenza di imponenti muraglie in pietra a secco (al momento non databili) che sembrano aver avuto in passato funzione di fortificazioni.

Questa contrada è praticamente adiacente alla contrada Petrose, per la quale esiste sufficiente documentazione (zona sede di un insediamento neolitico, di insediamenti rapportabili al periodo della colonizzazione romana, successivamente bizantini, e a seguire).

Presso questa contrada esiste una grotta ostruita intorno alla quale si è parlato e indagato poco. Gli storici locali Annoscia e Desantis ne riferiscono stringatamente all’interno di un articolo che parla della viciniore contrada Petrose:

“l’area del ‘villaggio’ delle Petrose non è molto lontana da due grotte una delle quali certamente frequentata dall’uomo preistorico: la grotta detta Lucerna (in contrada Spina, presso Uggiano Montefusco), solo in parte esplorata, che ha restituito frammenti ceramici di età neolitica e la grotta denominata Campana d’ Oro in contrada Scerza, in agro di Sava, attualmente ostruita in superficie e rimasta inesplorata“.

Negli anni ’80 la grotta di Scerza risulta già ostruita, ma sino ai giorni nostri sono rimasti gli echi delle leggende che vi si riferiscono. Raccogliamo alcuni preziosi elementi intorno alla conformazione della grotta, da uno scritto di Giglio Caraccio. Il Caraccio ingloba “Scerza” nella adiacente contrada Petrose e perciò si riferisce alla grotta propriamente di Scerza. Altre fonti utilizzano per il lembo in cui è insita la grotta il toponimo “Campana d’Oro” anziché Scerza, proprio a seguito della popolarità della locale leggenda. Questo il resoconto di Caraccio:

“Un’altra cavità sotterranea esiste in contrada Petrose a 1500 metri a ovest della omonima masseria. Personalmente non l’ho potuta visitare poiché, recandomi sul posto con due gentili accompagnatori, abbiamo visto che è stata affogata, cioè riempita di pietrame rendendo così difficile, anzi impossibile senza rimuovere le pietre, accedervi a visitarla. Questa era ed è chiamata “grotta della campana d’oro” sia perchè specificamente è il nome della zona sia per vecchie leggende”

A parte qualche fugace citazione, l’unica fonte descrittiva del sito resta quella del Caraccio, che si occupa di parlarne a pochi anni dalla sua ostruzione: riesce perciò a raccogliere documentazione orale circa le dimensioni e le caratteristiche dell’ipogeo, che si presenta simile a quello tuttora visibile in contrada Grava (grotta Palombara), e, stando al resoconto, addirittura di poco più grande come dimensioni. La descrizione, pur non abbondando di particolari e tanto meno di analisi storico-archeologica del luogo, fa comprendere comunque come la cavità, pur se naturale, ha dovuto essere oggetto di considerevoli modifiche da parte dell’uomo, ed è stata utilizzata in antichità, probabilmente rivestendo funzioni differenti nel corso delle varie epoche. E’ perciò plausibile che da luogo adibito ad antichi culti ctoni, sia passato ad ospitare altre attività:

“A chi ho chiesto notizie mi ha detto che si tratta in effetti di uno scavo sotterraneo della grandezza di una stanza di 16-20 metri quadrati con mangiatoie, specie di lettiere per sdraiarvisi e vi si accedeva da un’apertura non molto grande. Quindi serviva per nascondervi o tenervi animali dato il fatto che tutta quella zona, ora trasformata in vigneti ed oliveti, era una grande estensione di macchie e sterpaglie”.

Questa spiegazione del Caraccio, specie nella sua ultima parte, risente evidentemente di una superficialità “ispettiva”: difatti, se pure è vero che gran parte del territorio nei paraggi della grotta doveva essere in antichità una macchia boschiva (della quale restano ancora tracce), è vero anche che proprio l’area specifica in cui è situata la grotta presenta degli evidenti tratti insediativi: difatti vi si accede attraverso una stretta carreggiata (visibile benchè oggi in parte invasa dalla boscaglia) ed è delimitata da una recinzione a secco (anch’essa in parte affogata nella boscaglia ma visibilissima). Inoltre a pochi metri dalla grotta si notano ancora oggi dei trulli, pressochè integri benchè seminascosti dalla boscaglia. Infine, la destinazione d’uso della grotta è meramente ipotizzata dall’autore, ma non trova riscontro in obiettive testimonianze. Come altre località similari, probabilmente nel tempo è stata adibita ad usi diversi, a partire dalla sua frequentazione preistorica, perciò la lettura del Caraccio potrebbe essere assai riduttiva.

Cappella di Scerza

La leggenda della “Campana d’oro”

Quella della “campana d’oro” è una leggenda ricorrente in varie località italiane: in Salento la si ritrova ad esempio presso la Serra di Poggiardo, si ritrova a Santa Margherita Ligure, sempre in Liguria a Volastra, costituisce una delle storie fantastiche tipiche della Lunigiana, si ritrova in provincia di Arezzo a Porciano, e in molti altri luoghi.

Anche presso la grotta di Scerza, si raccontava della “campana d’oro”. Di recente, ho saputo di una ulteriore leggenda della “campana d’oro” anche ne i sotterranei del centro abitato del paese di Sava: come noto, varie testimonianze riferiscono di una rete di cunicoli sotterranei situati nei pressi del centro storico della cittadina. In occasione di una intervista mirata a ricavare altre notizie su detti sotterranei, una anziana donna mi riferisce che moltissimi anni fa, un sacerdote savese era convinto dell’esistenza, riferita dalle voci del popolo, di una “campana d’oro” situata nei cunicoli sotterranei in prossimità della piazza.

Ma torniamo a Scerza: come per tutte le storie e le leggende tramandate oralmente, la leggenda si è sviluppata in versioni differenti. Un elemento che ho raccolto personalmente come costante nei racconti e nei ricordi degli anziani, è quello che questa grande campana fosse “custodita dal diavolo”.

Il Caraccio riporta due versioni, mentre io stesso ne raccolsi, decenni fa, una terza: qui di seguito, le illustro tutte.

Versione 1: gli spiriti custodi e i rintocchi a mezzanotte

Questa la prima versione riportata dal Caraccio:

“Circa poi la denominazione di “campana d’oro” si raccontava che a mezzanotte suonava come una specie di campana e uscivano gli spiriti. Evidentemente per mettere paura e non fare avvicinare nessuno”.

Versione2: l’offerta sacrificale del neonato

La seconda versione riportata dal Caraccio, invece, ha una grossa affinità con una leggenda riportata dalle genti di Manduria circa “ lu Scegnu”, il Fonte Pliniano: è identico, come si può vedere, il particolare della macabra offerta del bambino finalizzata a fare apparire il “tesoro” (secondo la leggenda manduriana per impadronirsi della “chioccia con i pulcini d’oro” nascosta presso il fonte si doveva sacrificare, ammazzandolo, un bambino o una bambina di non più di 5 anni). Ma ciò che è particolare, è che lo stesso “Scegnu” è un luogo ctonio, e dunque siamo, probabilmente, di fronte a due siti simili (e che forse in antichità hanno rivestito le stesse funzioni) nei quali si sono poi sviluppate, appunto, leggende analoghe:

“L’altra leggenda parlava di “un’occhiatura”, cioè di un tesoro nascosto per entrare in possesso del quale bisognava fare offerta di un neonato di tre giorni. Una volta lasciato questo bambino sarebbe suonata la campana e si sarebbe aperta una cavità dove si sarebbe trovato questo “tesoro”. Ma siccome in definitiva questo bambino non lo sacrificava nessuno, l’ “occhiatura” rimaneva sempre una inutile speranza per tutti”.

Versione 3: il diavolo e “lu lupu alli pecuri”

Riporto la leggenda a seguire per come mi è stata tramandata da alcuni anziani dei luoghi:

“nella grotta di Scerza era situata una “Campana d’oro”, custodita dal diavolo. Un giorno, un pastore, avvicinatosi a pascolare le sue pecore nei pressi della grotta, ode il tintinnìo della campana. Si decide dunque a scendere nella grotta per appropriarsi del prezioso oggetto. Arriva fino al punto della grotta nel quale è situata la campana, e mentre cerca di trasportarla su, sente una voce che grida: “lu lupu alli pecuri, lu lupu alli pecuri”. Certo che qualcuno lo sta avvisando del fatto che un lupo sta per sbranargli il gregge, risale di corsa, lasciando la campana là dov’era. In realtà, era stato il diavolo, custode della campana, a lanciare il “falso allarme” in modo che il pastore non potesse appropriarsi della campana, che non ritroverà più una volta ridisceso.”

Un’altra versione da me ascoltata, non differisce sostanzialmente da quella sopra esposta, se non in un particolare del “finale” del racconto: il pastore, dopo aver temporaneamente abbandonato l’antro, non può neanche ridiscendere, perchè “l’ imboccatura della grotta si chiude”.

Grotte, magia e tesori. Le leggende come indizi

Una leggenda identica a quella di Scerza è riportata in riferimento ad un altro sito non molto distante, nei pressi del litorale di Maruggio, nella località attualmente denominata “La Madonnina” o “Madonnina dell’ Altomare“. Si tratta di una cappelletta che sorge su una collinetta posta a poca distanza dal mare. Bianca Capone, una scrittrice che aveva una casetta posta quasi di fronte alla chiesetta della Madonnina, racconta:

“I vecchi di Maruggio […] dicono che nelle viscere della collinetta è nascosto un tesoro. La fantasia popolare ha ricamato una trama leggendaria, che riporto così come mi è stata narrata. Un giorno un pastorello, che stava pascolando il gregge nei pressi della Madonnina, salito sulla sommità dell’altura, scorse di lontano un antro. Si avvicinò e vide una scalinata, scavata nella roccia che scendeva nell’interno. Spinto dalla curiosità scese i gradini e si trovò ben presto in un tempio sotterraneo dove c’era ogni ben di Dio: collane, anelli, pietre preziose e perle a bizzeffe. Ammaliato da tanto splendore, il pastorello si gettò dentro quel mare d’oro e d’argento […]. Ma sul più bello udì una voce dall’esterno che gridava: «al lupo!» Resosi conto del pericolo, risalì alla superficie, ma si avvide che il lupo non c’era e che le sue pecorelle pascolavano tranquillamente sulle pendici della collinetta. Allora corse nuovamente verso l’entrata della caverna, ma non la trovò: era sparita come per incanto!”

E’ da evidenziare inoltre che presso la grotta Grava in agro di Sava e presso il già citato “Scegnu” (meglio conosciuto come Fonte Pliniano) in Manduria si riscontra un ulteriore elemento simile, ovvero quello della presenza del “tesoro” (in questi due ultimi casi costituito da una “chioccia con i pulcini d’oro”, anche questa leggenda ricorrente in molte zone d’Italia e legata a cavità sotterranee).

Le leggende popolari spesso costituiscono una interpretazione fantastica di antiche realtà storiche, e per questo sono da utilizzare come importanti indizi. Il “diavolo” è messo in relazione con le antiche divinità pagane dimoranti in quei luoghi, e ne costituisce reinterpretazione, e i “tesori” sono da relazionare ad effettivi resti di elementi “preziosi”, cultuali o votivi, presenti in quegli spazi. La classica “pignata” custodita o fatta ritrovare dal “laùru” nell’ “occhiatura” , ad esempio, è un vaso dell’antichità spesso contenente i preziosi, le offerte, o i depositi tombali di una civiltà precedente.

I siti che ospitano queste leggende sono in genere posti nei quali in antichità sorgevano luoghi di culto o sepolcreti o insediamenti. Come il Fonte Mandurino luogo sacro alle divinità messapiche, la collinetta della Madonna dell’Altomare ospitava, in antichità, un tempio dedicato ad Artemis Bendis, la qual cosa è testimoniata da scavi iniziati nel 1968 e proseguiti seppur sporadicamente negli anni successivi, durante i quali sono stati rinvenuti i resti di un edificio e di un recinto sacro, una stipe votiva, ceramiche, e una serie di terrecotte raffiguranti la divinità. Complessivamente, i ritrovamenti sono stati fatti risalire a un arco temporale che va dal VI al IV sec. a.C.

Recenti testimonianze

Due informatori, entrambi cinquantenni al momento in cui scrivo, mi raccontano che durante la loro infanzia hanno frequentato la zona della grotta essendo i genitori proprietari di terreni nei paraggi. Il primo, R.P., afferma di avere un ricordo sbiadito della grotta ma di esservi disceso (nonostante le raccomandazioni degli anziani di non avvicinarsi all’ “occhiatura”) per poi tornare rapidamente in “superficie”. Il secondo, A.P., racconta: “Io ricordo che da piccoli ci raccomandavano di non avvicinarci in quella zona proprio perché c’era “un buco nero”, almeno così ci diceva mio zio; ovviamente per noi era come una calamita quel posto infatti ci giravamo sempre intorno. Però non sapevo fosse una grotta”. La seconda testimonianza in particolare, dimostra quanto la grotta in questione suscitasse paure e suggestioni nella gente di Sava e di come la sua frequentazione fosse considerata un tabù: fatti che devono aver generato la decisione dell’ ostruzione dell’ingresso da parte della gente dei luoghi.

Un sito da riscoprire e studiare

Quello che ci suggeriscono tutti gli elementi sin qui raccolti è che il sito di Scerza con la sua grotta è stato sicuramente oggetto di “vissuti” in diverse epoche storiche e che in esso, e nei dintorni, si sono sviluppati insediamenti, culti, e vicende che poi hanno generato le leggende giunte sino a noi. E’ importante dunque indagare su questa località e sarebbe prioritario riportare alla luce l’antica grotta, che insieme ad una accurata analisi dei luoghi potrebbe permetterci di ricostruire fatti e vicende legati allla storia antica del sito e alle sue caratteristiche.

 

le muraglie di Scerza
Scerza, muraglie

Gianfranco Mele

BIBLIOGRAFIA

C. Desantis, M. Annoscia, L’insediamento neolitico di Contrada Le Petrose in “Lu Lampiune”, IX, 2, 1993

G. Pichierri, Il villaggio neolitico sulla via dell’ossidiana Corriere del Giorno, 14 mar. 1986

G. Caraccio, Sava – cronistoria della cittadina ionica per i suoi seicento anni, Schena Editore, Fasano, 1987, pag. 282

G. Mele, La grotta Grava-Palombara a Sava, sede di antichi culti e utilizzi. Un sito da valorizzare, preservare e interpretare in Cultura Salentina, Rivista di pensiero e cultura meridionale, settembre 2015

V. Scarpello, Il “Fonte pliniano” di Manduria tra storia e leggenda, in belpaeseweb.it

G. Mele, Sava: “li Castieddi” e i camminamenti sotterranei, La Voce di Maruggio, 2018

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G. Mele, Sava sotterranea: altri elementi. Una piccola ricognizione etnografica, in La Voce di Maruggio”, 2019

B. Capone, Attraverso l’Italia Misteriosa, Longanesi, 1978

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L. Finocchietti, Il distretto tarantino in età greca, in: Workshop di archeologia classica. Paesaggi, costruzioni, reperti, Annuario Internazionale, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 6, 2009

 

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Notizie su Gianfranco Mele

Gianfranco Mele
Sociologo, studioso di tradizioni popolari, etnografia e storia locale, si è occupato anche di tematiche sociali, ambiente, biodiversità. Ha pubblicato ricerche, articoli e saggi su riviste a carattere scientifico e divulgativo, quotidiani, periodici, libri, testate online. Sono apparsi suoi contributi nella collana Salute e Società edita da Franco Angeli, sulla rivista Il Delfino e la Mezzaluna e sul portale della Fondazione Terra d'Otranto, sulla rivista Altrove edita da S:I.S.S.C., sulle riviste telematiche Psychomedia, Cultura Salentina, sul Bollettino per le Farmacodipendenze e l' Alcolismo edito da Ministero della Salute – U.N.I.C.R.I., sulla rivista Terre del Primitivo, su vari organi di stampa, blog e siti web. Ha collaborato ad attività, studi, convegni e ricerche con S.I.S.S.C. - Società Italiana per lo Studio sugli Stati di Coscienza, Gruppo S.I.M.S. (Studio e Intervento Malattie Sociali), e vari altri enti, società scientifiche, gruppi di studio ed associazioni.

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