venerdì 19 Aprile, 2024 - 12:11:39

“La Malombra”: la leggenda, le origini … il ritorno

Maschera tragedia greca

Mi sorse dinanzi l’imagine della Malombra evocata dalla massara, della fanciulla tutta bianca, avvolta in un lenzuolo che era un sudario, dal volto irriconoscibile, mostruoso: e camminava, e si avvicinava lenta, taciturna, glaciale. Due, tre, cento. Da ogni parte. Non venivano ma sorgevano improvvisamente, e mi accerchiavano

(tratto da: A. Giani, Il contemporaneo, Rivista Mensile di Letteratura e Arte, 1924, pag. 160)

 

scena dal film “The ring”

Prendo spunto e ispirazione per questo scritto dal cosiddetto gioco “Samara Challenge”, ispirato, come dicono i media, alla protagonista del film horror “The ring”, e che consiste nel travestirsi con un abito bianco e una parrucca dai lunghi capelli neri e spaventare i passanti per le strade. Ringrazio l’amico e studioso salentino Oreste Caroppo per aver evidenziato l’analogia di questo gioco con l’antico gioco-rituale delle “malombre”, del quale mi occuperò in questo scritto.

Da un post pubblico di Felice Stella sul gruppo FB “Vernacolo Foggiano” ricavo la seguente descrizione, virgolettata e ripresa non so da quale autore, ma certamente sinteticamente assai pertinente alla descrizione dei nostri nonni su queste figure che colpivano l’immaginario popolare: “’A malombre è un’anima in pena, che vaga da per tutto. La malombra si manifesterebbe anche sotto forma di animale fastidioso o dal comportamento sinistro. In forma umana si presenta come un soggetto di abbigliamento strano o dal comportamento anomalo. In altri casi la malombra fa sentire la propria presenza facendo rumore o spostando oggetti”.

Ancora, ritrovo sul web, in un post della pagina “Sava, Taranto, Salento, Italia” la seguente descrizione: “uno spirito in cerca di pace e che si introduceva in casa per causare paura. […] Apparirebbe come un fumo nerastro che ricorda una signora malvesitita, da qui la parola ombra”.

In un articolo intitolato “La leggenda della malombra” apparso su Barinedita, si legge: “La “mal ombra”, o “mal umbra” è la combinazione dell’aggettivo “malvagio” e del sostantivo “ombra”, quindi “ombra malvagia”. Fa riferimento a una antica e paurosa leggenda popolare che vede come protagonista uno spirito maligno che terrorizza chiunque incroci il suo cammino. “La malombra è uno spirito in pena che va di casa in casa facendo danni – ci spiega la 82enne barese Francesca -, quando si viveva principalmente in campagna questa “strega” arrivava persino a rubare il raccolto”. [1]

“Samara” a Lecce, foto dal web

Esiste anche un romanzo di fine Ottocento di Antonio Fogazzaro, intitolato “Malombra”, incentrato sul personaggio della contessina Marina di Malombra, donna folle, seduttrice e diabolica, ossessionata da demoni e fantasmi, che nella introduzione a una recente edizione del romanzo, così descrive il critico letterario Luigi Baldacci: “La giovane Marina di Malombra, donna irrequieta e incline all’esaltazione morbosa, ritrova nella villa dello zio una ciocca di capelli e un breve scritto di una sua antenata morta tragicamente, e si convince di esserne la reincarnazione. Da questo spunto, che asseconda il gusto dell’autore e dell’epoca per l’occulto e il soprannaturale, si dipana l’esordio narrativo di Fogazzaro pubblicato nel 1881 alle soglie dei quarant’anni. Considerato il capolavoro del romanzo gotico in Italia, Malombra ruota attorno al male e al suo fascino misterioso: l’attrazione che esso esercita è all’origine della sensualità perversa e del cupio dissolvi sia della protagonista sia del suo spasimante, Corrado Silla, trascinato via via nel folle delirio di Marina.”[2]

Le Erinni inseguono Oreste (Bouguereau, 1862)

La figura della “Mala Ombra” appare in una ricerca di Franca Romano incentrata sulla figura della “strega” seicentesca Laura Tarsia Malipiero, perseguitata dall’ inquisizione veneta dal 1630 al 1660, anno in cui morì dopo una serie estenuante di processi, condanne e prigionie. In questo libro si racconta anche della storia di Caterina Tornana, una donna di 33 anni che ad un ballo a casa di un’amica nota due maschere che la incuriosiscono, “temendo potessero essere donne di mala via”.[3] Poichè una di loro la guarda “ingrintata”, Caterina risponde con ingiurie, e da quel momento si procura l’inimicizia di queste donne che sono due streghe. Le streghe vanno a trovare di notte Caterina e il figlio (di due o tre anni), in sembianze animali, spesso in forma di gatto, e riescono a terrorizzare e far ammalare il bambino. Di più, riescono (secondo l’interpretazione degli inquisitori e di Caterina stessa) ad esercitare nei confronti di Caterina una vera e propria forma di possessione, e a procurarle una serie di malesseri fisici e di scompensi psichici. Caterina si rivolge ad un esorcista che interpreta un forte e continuo mal di testa della donna come segnale certo e inequivocabile della possessione, e in seguito si manifestano altri sintomi che rafforzano in lei la convinzione della possessione: “ero uscita fuori di me […] che uscivo fuori per strada come una matta”.[4] Quasi Caterina diviene essa stessa una “Mala Ombra”, ed è convinta di esser posseduta e oppressa da uno spirito, che Laura Malipiero e sua madre Isabella chiamano appunto “Mala Ombra” (e che riesce a colpire le vittime causando loro mal di testa, febbre, debolezza, confusione mentale).

Isabella Malipiero guarisce anche un’altra donna, una certa Angela, dalla presenza della Mala Ombra “segnandola per tre mattine con l’ Acqua dell’Epifania e con olio comprato nel giorno di Santo Stefano” e recitando una formula che inizia con: “nel nome del Padre e della SS. Trinità”, e il resto con parole in greco.[5]

La Malombra è descritta nei racconti popolari come uno spirito, una strega, una presenza opprimente, un incubo; una delle sue apparizioni è quella dello spettro o della strega vestita di bianco. Si poteva incappare, uscendo di notte fuori di casa, nell’incontro con una o più Malombre e addirittura essere accerchiati da queste figure che dileggiavano e insultavano o terrorizzavano il malcapitato e lo costringevano a danzare fino allo sfinimento. A questo proposito, esistono una serie di racconti salentini, simili tra loro nella trama, che hanno come protagonista un uomo, a seconda delle versioni chiamato “Ncalieno” o Mino Cucinto”, “Minucucintu”, “Armando” ecc., che esce di casa nella notte e incappa nel “cerchio” delle Malombre o delle Masciàre. In alcune versioni esce per prendere una boccata d’aria, in altre per andare a fare dei bisogni corporali, ma questo poco importa: la “costante” è che viene accerchiato dalle Malombre che danzano intorno a lui ripetendo una cantilena: “balla chiù forti, ca ci nò balli forti non ci cachi chiùi stanotti” , “balla Minu Cucinto balla e zumpa forte”, “Balla mesciu Armandu balla e zumpa forte” ecc. ecc. oppure è la stessa vittima che ripete a sua volta “ci scappu de stu cacchiu non ci cacu chiui de notte”, “ci scappu de stu cacchiu nò mi azu chiui cu cacu de notte”.

Il cerchio delle Malombre o il cerchio delle Masciàre che costringono a danzare è una scena ricorrente nei racconti di molte tradizioni geograficamente lontane e che in altre zone prende il nome di “Cerchio delle Fate” (“Fairy Ring”).

“Samara” per le strade di un paese pugliese, foto dal web

A proposito dei racconti popolari su queste figure che uscivano di notte a terrorizzare la gente, si veda anche la ricerca di Carlo Codacci-Pisanelli “Streghe – macàre, maghi e guaritori del Salento),[6] in cui si narra delle storie sopra riportate: come esplicitato in alcuni passi, queste inquietanti figure “andavano sempre in giro la notte […] a far intimorire la gente”; “andavano tutte coperte in viso […]con le vesti tutte stracciate, e andavano in giro di notte per fare dispetti”;[7]giravano di notte in campagna, vestite di bianco o tutte nude”;.[8]solitamente uscivano di notte con abiti scuri e lacerati e il volto coperto, o totalmente nude, per consumare vendette o portare a termine riti cerimoniali. Erano solite importunare coloro che andavano in giro di notte, costringendoli a balli sfrenati e strani riti nei pressi dei cimiteri”;[9] parevano “spiriti sonnambuli”.[10] In vari casi si ripeteva lo stesso copione a cui oggi assistiamo con il fenomeno “Samara Challenge”: queste donne, queste figure, potevano essere aggredite, inseguite, percosse, prese a bastonate, minacciate con falci e altri oggetti contundenti o pericolosi.[11]

Ho potuto raccogliere nel territorio savese alcuni racconti e credenze sulle “malombre” che a seguire riporto.

In una mia intervista del 2014, C.S., di Sava, 84 anni, mi riferisce dell’uso di travestimenti e maschere da parte di alcuni personaggi, identificati nella cultura locale come malombre:“anticamente si raccontava che indossavano delle maschere, e terrorizzavano la gente con queste maschere. Spaventavano la gente e rubavano i fichi, con queste maschere!”.

Il secondo racconto parla della presenza ricorrente delle malombre in una strada di campagna perciò definita “ Mali a ci ccappa”: “Dalle parti della strada Sava-Francavilla c’è “la strada di “Mali a ci ccappa”. La chiamavano così perchè si dice che ci fossero le Malombre: potevi uscirne morto, da quella strada, si raccontava”.

Più avanti, C.S. mi racconta di aver conosciuto lui stesso un uomo che si travestiva da “spirito” o da essere spaventevole “per gioco, per fare teatro, per scherzo”, e che a causa di questa abitudine e di altre sue stranezze era ritenuto dal popolo un “masciàro” e, come tale, temuto e spesso anche perseguitato.

In una discussione tematica su un gruppo FB dedicato alla storia e alle tradizioni, L.D., sempre di Sava, mi racconta: “...si, mia nonna ne parlava spesso! raccontava sempre di un pozzo che si trovava a piazza Sauro a Sava, lei ragazzina si affaccio’ a questo pozzo e vide un’ombra che non era certamente la sua! le rimase cosi’ impressa quell’immagine che se le ricordata cosi’ com’era fino alla tarda eta’ di 97 anni!”

La figura della Malombra ha diversi precursori nel mito, e, come tipico della eredità delle antiche credenze, si sincretizza in quella tramandata negli ultimi secoli; nella veste di donna “strega” invidiosa delle altrui gravidanze e della altrui prole, e perciò danneggiatrice di donne e bambini, ha un precursore mitico nella figura di Lamia regina della Libia.[12] Nel suo aspetto di donna spaventevole e vendicativa ricorda le temibili Erinni della mitologia greca, e le corrispettive Furie romane; ancora, le Menadi (o Baccanti) erano le temibili e invasate donne costrette da Dioniso alla pazzia, a effetto della quale si macchiavano di efferatezze come l’infanticidio e l’omofagia.

In conclusione, e nonostante le “mitologiche premesse”, ciò che veniva e viene sperimentato (negli antichi giochi-riti delle “malombre” e nel moderno gioco di Samara Challenge), è una rappresentazione, un teatro, uno scherzo, e questo è il giusto peso da dare ad un fenomeno enfatizzato e dipinto dai media come una efferatezza e che ha, come ripercussione di questa pubblicità e di questo allarmismo mediatico, soltanto la condanna e addirittura il ricorso alla violenza nei confronti di questi ragazzi che non fanno altro che ripetere un vecchio clichè: la rappresentazione tragica e goliardica di una antica scena, di una antica tradizione. Se mai ci siano da prendere “provvedimenti”, questi sono il ridimensionamento e la condanna non verso gli “attori” di quel gioco, ma verso chi infierisce fisicamente e mediaticamente contro queste maschere.

Menade danzante, copia di una raffigurazione del V sec. a.C.

 

Fairy Dance, Hans Zatzka
Maschera della tragedia greca

Gianfranco Mele

  1. Andrea Gigante, La leggenda della malombra, Barinedita (sito web), gennaio 2017
  2. Introduzione di Luigi Baldacci al romanzo di Antonio Fogazzaro “Malombra”: (A. Fogazzaro, Malombra, Garzanti editore)
  3. Franca Romano, Laura Malipiero, strega: storie di malie e sortilegi nel Seicento, Booklet, Milano, 2003, pag. 64
  4. Franca Romano, op. cit., pp. 66-67
  5. Franca Romano, op. cit., pag. 60
  6. Carlo Codacci Pisanelli, Streghe – macàre, maghi e guaritori del Salento, Bleve Editore, Lecce, 2001
  7. Carlo Codacci Pisanelli, op. cit., pag. 25
  8. Carlo Codacci Pisanelli, op. cit., pag. 28
  9. Angelo Urbano, recensione a “Streghe” di Carlo Codacci Pisanelli, Puglialibre, sito web, novembre 2010
  10. Carlo Codacci Pisanelli, op. cit., pag. 27
  11. Vedi Carlo Codacci Pisanelli, op. cit., pag. 27; vedi anche Gianfranco Mele, Maurizio Nocera, la Magia nel Salento, Spagine-Fondo verri Ed., 2018, pp. 17-18, 169-170
  12. Cfr.: Gianfranco Mele, Fascinazione: i riti, i simboli, le guaritrici, le affascinatrici e le vittime, Fondazione Terra d’Otranto, sito web, dicembre 2018

 

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Notizie su Gianfranco Mele

Gianfranco Mele
Sociologo, studioso di tradizioni popolari, etnografia e storia locale, si è occupato anche di tematiche sociali, ambiente, biodiversità. Ha pubblicato ricerche, articoli e saggi su riviste a carattere scientifico e divulgativo, quotidiani, periodici, libri, testate online. Sono apparsi suoi contributi nella collana Salute e Società edita da Franco Angeli, sulla rivista Il Delfino e la Mezzaluna e sul portale della Fondazione Terra d'Otranto, sulla rivista Altrove edita da S:I.S.S.C., sulle riviste telematiche Psychomedia, Cultura Salentina, sul Bollettino per le Farmacodipendenze e l' Alcolismo edito da Ministero della Salute – U.N.I.C.R.I., sulla rivista Terre del Primitivo, su vari organi di stampa, blog e siti web. Ha collaborato ad attività, studi, convegni e ricerche con S.I.S.S.C. - Società Italiana per lo Studio sugli Stati di Coscienza, Gruppo S.I.M.S. (Studio e Intervento Malattie Sociali), e vari altri enti, società scientifiche, gruppi di studio ed associazioni.

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