mercoledì , 13 Agosto 2025

Lu Cusiminu Frascina, lu ’Ntonio Marsella, lu Paglialunga, lu Giuanninu Longo, L’Arbina: i ricordi indelebili dei piccoli negozi

foto archivio

Un tempo, i negozietti di paese erano molto più di semplici punti vendita: erano la linfa della comunità, luoghi dove la quotidianità si intrecciava con i legami umani, dove ogni cliente era un amico e ogni visita un’occasione per uno scambio sincero.

Lu Cusiminu Frascina evocava subito il profumo autentico delle conserve fatte in casa, delle marmellate dolci e delle sardine sott’olio preparati con cura e passione. La bottega, raccolta e familiare, offriva non solo prodotti ma anche sorrisi e consigli, ed era frequente sentire il bottegaio dire: “Metto un po’ di più, tanto lo sai che non segno.” Quel gesto semplice racchiudeva tutta la fiducia e la complicità che animavano le relazioni di quartiere.

A pochi passi, lu ’Ntonio Marsella era il cuore pulsante del paese, con il suo continuo via vai di clienti che approfittavano della spesa per scambiare due parole. Il tintinnio della cassa, le risate e le chiacchiere si mescolavano all’odore del caffè appena tostato e alle chiacchiere genuine, creando un’atmosfera calda e familiare.

Poi c’era Lu Paglialunga, un vero e proprio tempio dei sapori, inconfondibile per l’odore intenso e invitante della mortadella Bologna che sembrava avvolgere tutta la bottega. Qui ogni cosa era al suo posto, ordinata con precisione, e il titolare aveva sempre un occhio di riguardo per i più piccoli, ai quali regalava caramelle con un sorriso complice, “Ma non dirlo a mamma!”. Ogni visita era un piccolo viaggio nel gusto e nella tradizione, dove il profumo di salumi e formaggi raccontava storie di un’Italia genuina e famigliare.

Non lontano,  lu Giuanninu Longo il panificio, era un tempio di calore e fragranza. L’aroma del pane appena sfornato, con la sua crosta croccante e dorata, si diffondeva per tutta la strada, invitando grandi e piccini a varcare la soglia. Il fornaio, con le mani sempre infarinate e il sorriso pronto, conosceva ogni cliente per nome e sapeva quali pani preferivano le famiglie. Non si vendeva solo pane: si regalavano ricette, si scambiavano consigli per far durare di più il pane fresco, e si creava un senso di appartenenza che oggi sembra lontano.

Infine, l’Arbina, la merceria del paese, con il suo fascino antico. Oltre ai fili, bottoni e tessuti colorati, L’Arbina vendeva anche petrolio, necessario per illuminare le case nelle sere d’inverno o per alimentare piccole lampade. Quel banco, ricco di oggetti semplici ma indispensabili, era il centro di un sapere pratico e quotidiano. Ogni cliente passava di lì non solo per comprare, ma anche per chiedere un consiglio, raccontare un aneddoto o semplicemente per un saluto sincero. La merceria era un piccolo scrigno di storie e tradizioni, un luogo dove il tempo sembrava scorrere più lentamente, rispettando la pazienza e l’attenzione verso chi vi si affidava.

In quei negozi non si faceva solo commercio: si costruiva comunità. Si “segnava” la spesa sul libretto (critenza) con fiducia, si pagava a fine mese, ma soprattutto si pagava con la moneta più preziosa: il rispetto reciproco. Le porte erano sempre aperte, non solo materialmente, ma anche nel cuore di chi li frequentava.

Oggi, i nomi di questi negozi – Lu Cusiminu Frascina, lu ’Ntonio Marsella, lu Paglialunga, lu Giuanninu Longo, l’Arbina restano impressi nella memoria di chi li ha vissuti come fotografie in bianco e nero, ricordi indelebili di un tempo in cui bastava varcare la soglia di una bottega per sentirsi davvero a casa.

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Di Redazione

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