sabato 20 Aprile, 2024 - 12:39:45

Primo Levi. Un testimone e non uno scrittore

 

Il Novecento è il secolo del cinema. Dopo gli anni cinquanta del 1900 la letteratura, tranne alcune testimonianze esemplari, è stata attraversata dal cinema che ha preso il sopravvento. Discutiamo, comunque, di letteratura del Novecento. Nel segno non solo della rilettura di quella storia che ci è stata imposta dai testi scolastici e universitari.
Testi completamente affidati a modelli ideologici. Di discussione nel corso di questi anni ne abbiamo fatte tante, ma ci sono responsabilità sia istituzionali che di metodologia applicata alla pedagogia.

La vera storia della letteratura italiana del Novecento non è quella che si fa studiare nei libri di testo – scuola superiore e università. È una letteratura “gestita” politicamente. Più volte siamo entrati nel merito di ciò. Ci si è meravigliati del fatto che Claudio Magris non fosse uno scrittore conosciuto, in riferimento agli esami di maturità, in quanto non è antologizzato nei libri scolastici.

Certo. Ma leggete un po’ i contemporanei: da Tondelli a Sanguinati, (per risalire indietro e non ridiscendere) dall’autore di “Gomorra” a tutta una letteratura in odore di sinistra e di sociologismo. Dico questo perché? Perché si è antologizzati e “modulati” soltanto se si risponde ad un canovaccio che è quello di un determinismo marxista e relativismo o milaniano o a un canovaccio ormai diffuso, che è quello della letteratura cattolico – comunista. Letteralmente non esistono.

Sfido a trovare pagine su Giuseppe Berto, su Marcello Gallian, su Francesco Grisi, Diego Fabbri, Antonio Barolini, Ignazio Silone che non sia il “Fontamara”, facendolo poi morire, in alcuni testi scolastici, nel 1977 mentre muore un anno dopo, con un libro qualificante per tutta la sua opera qual è “Severina” edito postumo, sul quale lo scrittore ci ha lavorato sino agli ultimi giorni della sua vita, agosto 1978.

Poi, la nota dolente è quella di continuare a considerare “grande” scrittore, Primo Levi. Pagine di testimonianza e nient’altro. I suoi scritti non superato la testimonianza umana ma la letteratura ha una griglia simbolica e di “pensiero” di altra natura. Già il caso Moravia è ben altra faccenda. Un narratore e non uno scrittore. Molta subordinazione agli schemi calviniani. Un Italo Calvino che diventa scrittore in “Palamar” in “Se un viaggiatore…”. E prima? Ma niente di nuovo dopo Pavese. Primo Levi? Non è uno scrittore. Un diarista di una tragedia. Ma non scrittore. Pavese non volle mai pubblicarlo.

Pavese è la centralità di un Novecento di mezzo con una straordinaria valenza poetica e letteraria, ma non certamente quel Pavese antologizzato nei testi scolastici. L’antirealista Pavese è soprattutto lo scrittore che non accettò la Resistenza né come modello politico e tanto meno come espressione letteraria. Pavese è il mito e l’alchimia nella storia ma è anche lo scrittore che condanna chiaramente il comunismo e i risvolti di una Resistenza assassina (“Dialoghi con Leucò” e la “Casa in collina” sono il manifesto dell’antiresistenza. Semplice constatare ciò. Basta leggerlo con serenità e non antologizzarlo con giustificazioni banali.

Ma se Pavese è lo scrittore di mezzo del Novecento, che sostanzialmente spacca le visioni ideologiche, Corrado Alvaro è lo scrittore delle “memorie sommerse” che fa iniziare il suo percorso letterario, proprio nei primi anni del Novecento, con “L’uomo nel labirinto”. Siamo a livelli alti e non nella mediocre cronaca di un Primo Levi o nella superbia visione stilistica di Italo Calvino, che tutto deve al Pavese della coerenza, dello stile, dell’autenticità.

Ma Alvaro e Pavese avevano dietro dimensioni robuste: da una parte una visione musiliana e kafkiana e dall’altra la lezione eliadiana e vichiana ben ancorate alla tradizione letteraria e non ideologica.

Bisogna rivendicare la letteratura vera e spogliarla dalla frenesia di un gramscismo che proviene da lezioni sovietiche di un realismo come vera forma di arte. Pavese è distante da ciò, come lo è Alvaro, come lo è Berto, come lo è Sgorlon e Bevilacqua o Salvalaggio.

Dal punto di vista di una revisione letteraria –storico – ideologica c’è un libro, che fa molto discutere (ma solo gli sciocchi non hanno appreso la visione di una impostazione della ricerca basata su documenti e interpretazioni) pubblicato qualche anno fa: “Partigia. Una storia della Resistenza” di Sergio Luzzatto, Mondadori), con il quale si comincia, finalmente, a dare il peso mediocre a Primo Levi, dopo Pavese. Di Primo Levi di celebrerà il centenario della nascita nel 2019, mi auguro che si potrà fare un distinzione tra lo scrittore e il testimone che scrive.

Qual può essere il ragionamento applicato nel centralizzare testimoni di scrittura come Primo Levi e non dare la giusta considerazione a veri scrittori come Giuseppe Berto? Me lo devono spiegare. Mi devono spiegare perché si focalizza l’attenzione, il più delle volte, sulle contraddizioni di Sartre defilando in un paracadute Camus. Ci vogliono ragionamenti critici e non teatralizzazioni consociative. Ma i cattolici si sono resi conto che la storia della letteratura dimentica Diego Fabbri, Mario Pomilio, Francesco Grisi, Ignazio Silone del “Celestino V”, e più avanti Saviane, Salvalaggio, Battaglia?

Gli intellettuali hanno un ruolo importante in questo rivoluzionario approccio con la letteratura. Si ha il coraggio di leggere soltanto con le chiavi letterarie Primo Levi senza lasciarsi condizionare dal suo essere ebreo? Levi, ribadisco, non è uno scrittore!

Si ha il coraggio di leggere e proporre Giuseppe Berto (l’autore de “Il mare oscuro” e di “Anonimo veneziano” oltre che della “Gloria”) senza lasciarsi condizionare dal suo libro “Guerra in camicia nera”? Non ci credo.

Si ha il coraggio di proporre Pavese come egli stesso ha scritto nella pagina introduttiva a “Dialoghi con Leucò”, ovvero di non essere uno scrittore realista?

Si ha il coraggio di penetrare Calvino ponendosi davanti ad una lezione di letteratura marxista anche quando cerca di introdurci nella fiaba o nelle sue interpretazioni “americane”, che non offrono alcuna originalità e innovazione dopo le lezioni critiche debenettiane?

Ci vuole coraggio e capacità anche nel tentare di sfidare luoghi conformati e conformistici.

Bene. Io non leggo Primo Levi. Non mi dice nulla. E consiglio di non leggerlo. Continuo a rileggere Giuseppe Berto. Non consiglio Italo Calvino perché è solo retorica letteraria. Rileggo i maestri come Pavese e Alvaro. Si può andare oltre. Ma prima bisogna lavorare epoche sugli scrittori e sui testi degli scrittori e non su indicazioni di terza mano.

Bisogna spenderci una vita per potere essere certi di un pensiero e attraversare generazioni di maestri (pochi) e di mediocri (molti). Io non smetto di tenere tra le mie mani il Camus de “Lo straniero” e di cestinare il Sartre de “La nausea”. Convinto sempre che la confessione può diventare un genere letterario (Maria Zambrano), ma nella confessione ci deve essere il mistero dell’arte. Bisogna ritornare alla letteratura vera, alla letteratura degli scrittori e non dei testimoni! Alla letteratura di un Novecento che parte con D’Annunzio, Pirandello e Deledda oltre che con Pascoli.

Pierfranco Bruni

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Notizie su Pierfranco Bruni

Pierfranco Bruni
E' nato in Calabria. Ha pubblicato libri di poesia (tra i quali "Via Carmelitani", "Viaggioisola", "Per non amarti più", "Fuoco di lune", "Canto di Requiem", "Ulisse è ripartito", "Ti amero' fino ad addormentarmi nel rosso del tuo meriggio"), racconti e romanzi (tra i quali vanno ricordati "L'ultima notte di un magistrato", "Paese del vento", "Claretta e Ben", "L'ultima primavera", "E dopo vennero i sogni", "Quando fioriscono i rovi", "Il mare e la conchiglia") La seconda fase ha tracciato importanti percorsi letterari come "La bicicletta di mio padre", "Asma' e Shadi", "Che il Dio del Sole sia con te", "La pietra d'Oriente ". Si è occupato del Novecento letterario italiano, europeo e mediterraneo. Dei suoi libri alcuni restano e continuano a raccontare. Altri sono diventati cronaca. Il mito è la chiave di lettura, secondo Pierfranco Bruni, che permette di sfogliare la margherita del tempo e della vita. Il suo saggio dal titolo “Mediterraneo. Percorsi di civiltà nella letteratura contemporanea” è una testimonianza emblematica del suo pensiero. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura. Ha ricevuto diversi riconoscimenti come il Premio Alla Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri per ben tre volte. Candidato al Nobel per la Letteratura. Presidente Commissione Conferimento del titolo “Capitale italiana del Libro 2024“, con decreto del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano del 28 Novembre 2023.

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