mercoledì 11 Dicembre, 2024 - 4:16:38

Una Chiesa da processare. Oltre le mie eresie.

Benedetto XVI un esempio di bellezza contro il potere.

Di Pierfranco Bruni

La storia ha sempre la sua ragione da rivendicare o le sue ragioni ma davanti alle “dimissioni” di Benedetto XVI si constata un fatto. Gli eretici fanno paura. Perchè sono in quella verità che non può vivere il dogma della chiesa che, sempre più, offre lezioni di ambiguità.

Io resto in Cristo e sono ai piedi di Cristo ma sono distante dalla chiesa che mi propone morale, logica, ragione, storia, sepolcri imbiancati. Nel mistero, attraversando il dubbio, mi trovo a fare i conti con la verità della santità. Non con la elezione della santità. Ma con quella santità che offre azioni, esempi, testimonianze.

I Padri del Deserto sono oltre le teologie. Ci sono formazioni, culture, scuole di pensiero e c’è l’essere. Ma ognuno di noi vive una propria esperienza dentro il deserto e dentro le ipocrisie. Io cerco di allontanarmi dalle ipocrisie e dalle ambiguità. Non sono ipocrita e tanto meno accetto compromessi. La mia lezione è forte dentro quell’avventura di un povero cristiano raccontata, in termini letterari, da Ignazio Silone. Ma sono anche nella correttezza del passaggio esistenziale di un Papini che conserva la sua conversione nel segreto del mistero e la fa vivere come misericordia e come grazia offrendoci esempi.

Mi pongo la domanda prezzoliniana del “Dio è un rischio?”. Non si può stare con Cristo e con questa chiesa. Io non mi considero credente nella chiesa ma in fede con il Cristo che la chiesa definisce nel suo immaginario ma che non vive il suo esempio.

Le retoriche di queste ore restano demagogie. C’è un Papa che ha abbandonato il trono pietrino. E quella pietra non si è sfaldata. E’ lì in attesa di essere riempita da altri poteri.

Sono un eretico. Orgoglioso di essere eretico vivendo il mio Cristo e con la consapevolezza di non accettare le “ambiguità cristiane” ben raccontatae da Diego Fabbri. Ma ho bisogno di confrontarmi con il tempo che vivo e con la speranza di un viandante che va oltre il potere.

I simboli non sono un raccordo tra la ragione e la fede. Non può esserci alcun dialogo riconciliante tra ragione e fede.

Recitava Prévert: “Padre nostro che sei nei cieli/Restaci pure/Quanto a noi resteremo sulla terra…”. Provocazione? E’ possibile.

La cultura occidentale si è infiltrata in quella ipocrisia clerico – dandesca che continua a dominare il nostro mondo. Una cultura delle categorie e delle classificazioni. Ma quando avremo il coraggio di affermare che le qualificazioni e le classifiche volute da Dante, in un mondo di ambiguità e reticenze cattoliche, hanno permesso di creare timore e tremore.

Inferno, Purgatorio e Paradiso. Che bruttezze sono state create. Ma potremmo andare avanti. Noi che cerchiamo di vivere la bellezza abbiamo accettato per secoli un Dante proposto da un cattolicesimo senza scrupoli. I Dossetti i don Milani sono venuti dopo. Personaggi che non sono nel mio cammino. Io cerco di andare sempre al di là del bene e del male. E la chiesa che ha dettato l’esilio nella redenzione dantesca, nonostante Bonifacio VIII, resta in un immaginario in cui la fede è un simbolo puntato con il dito.

Convertiti o troverai l’Inferno. E Dante in quale Inferno degli inverni peggiori lo avremmo dovuto collocare? Credo che con l’esempio di Benedetto XVI si possa aprire una discussione a tutto tondo sulla chiesa. Io sono il primo a mettere sotto processo la chiesa romana apostolica e con essa confrontarmi/ci con Giordano Bruno, Gioachino da Fiore, Giovanna d’Arco, Ernesto Bonaiuti, Natuzza, Padre Pio.

La chiesa istituzione non è la chiesa di Cristo. Vorrei che si leggessero, per non penetrare i sottosuoli delle coscienze della memoria, alcune lettere di Aldo Moro quando mette sotto accusa le strategie della chiesa sotto il papato di Paolo VI. Moro condannato a morte per l’indifferenza del mondo cattolico.

La chiesa non si salva perchè rappresenta Cristo. Questa chiesa non rappresenta Cristo neppure tra le vie del mistero e della teologia.

Sono abbastanza eretico? Bruciatemi pure. Tanto molti hanno cercato di farlo ma io amo i giganti della vera santità e non le tuniche rosse o nere con i mantellini bianchi e le coppole rosse che aprono le braccia davanti ad una preghiera che, recitata da questa chiesa, non mi appartiene.

Benedetto XVI è l’esempio di una cristianità. Chiudendo il suo dramma Ignazio Silone ci fa vivere questo terribile dialogo. Parla Gioachino (a fra Tommaso). “Dimmi, che ne faranno? Cosa pensi?”. Risponde Fra Tommaso (con voce lenta e incerta quasi un balbettio per l’intimo sgomento): “E’ probabile che torneranno di nuovo a offrirgli un compromesso. Non c’è dubbio che lui lo rifiuterà. E allora temo che l’uccideranno… E poi, poi lo faranno santo. Non cerchiamo di capire. Il destino di certi santi, da vivi, è tra i misteri più oscuri della Chiesa”. Chiudo qui il mio destino da eretico vero, candidato alle fiamme della chiesa e alle prediche dei sacerdoti candidabili ai gradini di soglie più avanzate. Eretico nell’onore della mia eresia. Anzi di uomo che non crede ai compromessi e alle ambiguità nel coraggio di una scelta forte senza porre due piedi in una sola scarpa.

Dante sarebbe da cancellare. La chiesa da processare. Cristo da viverlo fino in fondo. Gli ebrei da raccontare tragicamente insieme agli infoibati e al genocidio degli Armeni magari dedicando gli stessi spazi senza aprire i portoni ideologici.

La storia da riscrivere completamente.

La ragione è niente davanti alla carità, alla misericordia, a Cristo.

Non mi appartengono la tolleranza e neppure il porre in modo dialogante fede e ragione. Io sono nella fede in Cristo. Il resto non mi interessa. Per formazione, per speranza, per il deserto che vivo accompagnato dal mio Cristo dentro il mio Cristo e fuori dal pietrismo. Ma con le mie solitudini di pellegrino nelle fede.

 

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