martedì 08 Ottobre, 2024 - 0:48:43

La scomparsa del mio fraterno amico Alberto Bevilacqua

bevilacqua ebruniAlberto Bevilacqua.

È come se fosse venuto meno un pezzo del mio esistere

di Pierfranco Bruni

Non voglio ricordarlo citando i suoi libri. Parma. La Califfa, gli incantesimi. Danzica. I segreti. Via i titoli. L’uomo. Lo scrittore. La scomparsa di Alberto Bevilacqua è un colpo al mio cuore. Un sodalizio che durava dal 1978. Non solo un amico. Un maestro. Nella letteratura. Nella scrittura che aveva il senso delle esistenze vissute e mancate. Mio grande amico ma anche l’autore di alcuni titoli dei miei libri. Un sodalizio cominciato decenni fa in una Roma che raccontava l’intreccio del mistero. Lo avevo conosciuto alla Libreria Croce. Ero insieme a Francesco Grisi. Fine anni settanta. Ancora pochi giorni per la mia laurea. Lo avevo conosciuto il giorno prima della morte di Giuseppe Berto. Grisi presentava un suo libro. Poi tanti mosaico. Non tasselli.

È stato il più importante scrittore di un Novecento innovante. Ha saputo legare il linguaggio della poesia, della narrativa con quella del cinema. In un unico linguaggio ha raccontato i personaggi ma ha attraversato soprattutto i sogni, la magia, l’alchimia.

Con la morte della madre si era incamminato verso quel mistero che non riusciva a diventare luce ma si riempiva di ombre. Le ombre che hanno attraversato i suoi libri in un labirinto stretto con lo sguardo infuocato. Sapeva difendere la parola bella scrittura. Non è il momento di citare i suoi libri, i suoi viaggi nella scrittura, la sua poesia eterna, il suo indefinibile e infinito viaggio tra gli arcani e i “sensi incantati”.

È stato lo scrittore vero. Straordinario. Immenso. Le antologie scolastiche, molte lo hanno ignorato perché non hanno mai capito il vero valore di uno scrittore che ha vissuto la scrittura nell’inquieto dell’esistere. Ma resta il vero scrittore del Novecento di una generazione nata nel 1934. la sua Parla si incontrava con i dettagli di Roma. la sua Roma nel camminare tra le pagine di una vita e tra le pieghe ultime della solitudine.

Ho sempre recensito i suoi romanzi e le sue poesie. Ha sempre recensito i miei libri. Prima della sua malattia c’era una quotidiana telefonata. Ci raccontavamo la notte. Il sogno e i tocchi della magia. Una mattina mi chiamò alle 5 e mi disse con una voce eccitata: “Ti prego oggi resta a casa. Non uscire. Ti prego. Fatti sentire ogni due ore ho bisogno di sentirti a casa. Poi ti dirò. Una voce mi ha parlato di te. Ho visto tra le nebbie le tue lacrime”.

Ho ascoltato il suo consiglio. Ho presentato quel suo amore stregato, ovvero “L’amore stregone”. Io che mi occupava e mi occupo di culture sciamane ho vissuto in questo libro l’estasi e il sublime. È come se fosse venuto un pezzo del mio esistere. Quale potrà essere il nostro compito? Ora il silenzio. Io stavo scrivendo un libro intrecciando poesia e narrativa. Il sangue di sua madre e il padre morto in una guerra disperante. Un ironico gioco che ha intrecciato le nostre vite. Mi diceva spesso: “Tu devi scrivere un grande romanzo. Tu scriverai un solo romanzo perché il destino dei grandi scrittori è quello di scrivere un solo e unico romanzo”. Ha sempre letto i miei libri che dessi il via si stampi. Le sue parole erano profetiche. La profezia è nella magia. Cosa raccontare ora? Ho davanti agli occhi l’ultimo incontro. Di qualche tempo fa. Poi il silenzio. La letteratura è mistero nel silenzio che ha la voce della salvezza. Così la sua.

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